Pandemia e povertà

Osservare gli effetti sociali della pandemia è un po’ come guardare una serie di diapositive a velocità supersonica, frammenti di immagini che si susseguono senza riuscire a fissare lo sguardo su specifici dettagli. La situazione sociale ed economica della Basilicata è in continuo cambiamento, sembra impossibile definire caratteristiche e tendenze, qualche fermo immagine che restituisce la portata del fenomeno, proviene dagli impietosi dati che raccontano di una povertà ormai endemica, diffusa e persistente: una piccola e complessa bussola per orientarsi e fare i conti con il futuro.

La povertà relativa delle famiglie lucane, secondo gli ultimi dati Istat, si attesta ormai al 23.4%, colpendo di fatto una famiglia su quattro, l’ultimo rapporto Caritas Potenza racconta di un aumento di richieste di aiuto nel 2020 del 101.7%, specificando come oltre la metà delle persone incontrate, non era mai stata in carico a servizi di assistenza. Si delineano quindi scenari inediti, basti pensare che una persona su tre, sostenuta dai servizi Caritas ha un’occupazione stabile, tra queste il 70% è rappresentato da lavoratori autonomi e piccoli artigiani, soffrono particolarmente le famiglie monoreddito, otto lavoratori dipendenti su dieci tra quelli sostenuti a vario titolo, si ritrovano dopo oltre un anno ancora in percorsi di aiuto. In questi fotogrammi si delineano le caratteristiche di quella immensa e confusa schiera di persone erroneamente definite “nuovi poveri”.

Le conseguenze sociali del Covid tracciano il percorso di un presente sospeso fatto di verità provvisorie che manifestano l’urgenza di porsi domande, prima ancora che fornire risposte.

Esistono davvero povertà vecchie e nuove? E ancora, è sufficiente pensare che quel tremendo fenomeno etichettato come “indigenza” sia essenzialmente una cronica mancanza di reddito?

Generalmente si è abituati a ritenere la povertà un fenomeno marginale, che riguarda una delimitata fascia di popolazione con particolari fragilità. Una sorta di sfortuna sociale causata dalla mancanza di lavoro, della quale si occupano con delega in bianco, istituzioni ed enti di terzo settore, colmando le mancanze con trasferimenti monetari e cibo. In realtà, la povertà e l’esclusione sociale riguardano ogni aspetto dell’esistenza e hanno molto a che fare con il territorio, la storia, i progetti e la qualità di vita. I dati riportati lo sottolineano in modo inequivocabile, quel 23.4% di famiglie in povertà relativa racconta anche e soprattutto del reddito procapite lucano tra i più bassi d’Italia (€ 13764 a fronte di una media nazionale che si attesta su € 26860), di un livello di occupazione femminile marginale, che vede meno di una donna su due avere un impiego stabile e di una condizione infrastrutturale vetusta che rende difficilissimo l’accesso a servizi di base, soprattutto nei piccoli comuni periferici e nelle zone interne.

Ampliare lo sguardo, quindi, restituisce un mosaico di fattori eterogenei, che non dovrebbero produrre un effetto sorpresa in relazione a numeri e cifre riportate da Istat e Banca d’Italia: povertà e impoverimento corrono assieme, attecchendo sulla qualità della vita dell’intero territorio ed esponendolo ad una disarmante fragilità. Allora, come fare?

Fenomeni nuovi richiedono orizzonti differenti, capaci di andare oltre il semplice attivismo, la beneficenza e la consueta delega in bianco che spesso induce a cadere nella trappola della protesta sterile e della vana e passiva attesa di misure istituzionali adeguate. Avere conoscenza e coscienza di un presente complesso, significa nutrire il desiderio di anticipare il domani, rinunciare al rischio di assuefarsi ad una cronica mancanza di futuro. Bisognerebbe  acquisire la consapevolezza che le disuguaglianze e la perdita di ricchezza non spariranno per magia, solo grazie ad adeguati (e sperati) provvedimenti istituzionali, ma richiedono lo sforzo e l’immaginazione dei piccoli contesti, la co-costruzione di percorsi di partecipazione sostanziale e non formale e la condivisione del quotidiano dei micro territori, alla ricerca di problemi veri e non presunti. Si tratta di conseguenza, di coltivare l’attitudine a non far sentire dimenticate le persone e di percorrere quel sottile filo che marca la differenza tra l’essere formalmente parte di una comunità e il prenderne parte per davvero, con linguaggi e gesti che richiamino ad una necessaria azione culturale oltre che politica e istituzionale, quella che tocca ad ognuno, per salvaguardare e preservare il diritto all’agio e al benessere.

In quest’ottica, non esistono povertà vecchie o nuove, ma territori e storie che si evolvono e provano ad adattarsi ad un presente precario e faticoso, ricercare approdi sostenibili per molti e non per pochi sarà la vera sfida per costruire percorsi oltre l’assistenza.

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