Dalla realtà virtuale immersiva siamo passati a quella fagocitante. Quanto della vostra vita è entrato a far parte del magma indistinto di codice binario che affolla il web? Quanti compleanni, piedi spiaggiati e felicità presunta avete condiviso con gli altri? Questi altri sempre poco recettivi. Poco utili alla causa egocentrica, fulcro di un’enorme solitudine in cui i rapporti umani (reali) sono sempre più fragili e sfilacciati.
La personalizzazione dell’esperienza social ha cancellato il confine tra reale e virtuale che persisteva grazie all’eroica resistenza di farfallina88 e occhi_blu90 nelle famose chat di bugiardi cronici.
Era divertente. Era un gioco e non eri tu. Ma ora se non ci metti la faccia i social addicted si inalberano. Nemmeno fossero nella stanza dei bottoni in cui si decidono le sorti del mondo. Pensando che tutto quello che scorre nel flusso indistinto di informazioni e bla bla bla sia vero e scolpito nella pietra del Monte Sinai.
Eppure milioni di persone continuano a caricare online foto, video, esperienze del loro privato. Eliminato il tabù della morte, eliminato il tabù della vita, eliminato un pezzo di personalità in un constante, persistente e vorace rumore bianco senza più la vocazione di rilassare.
Cercare gioia in un presunto luogo senza rischi richiede di pagare con la perdita di spirito critico, di comprensione dello spiacevole e del bagaglio della conoscenza, non più racchiusa nel nostro cervello ma nella fredda scatola di un server innalzato a totem e simulacro della nostra felice approssimazione alla vita.
Il chiacchiericcio simil blob degli Dei social ci ha trasformato in semplici replicanti di fonemi e consumatori di presunte emozioni. Ormai l’intrusione nella parte più profonda del nostro Io e del nostro sentire si è quasi definitivamente completata grazie alla marea di video mangiati e digeriti nel giro di pochi secondi che riprendono tristezze della vita e lacrime dove prima era solo allegria esibita.
Tutto questo aspettandoci che lo schermo sia uno specchio magico in cui rifugiarci dalla complessità dell’esistenza in cui non siamo più in grado di articolare soluzioni complesse, senza accorgerci che lo specchio riflette, come una bomba H, semplicemente quello che siamo.