Diario d’Inverno in piena estate

“Pensi che a te non succederà mai, che sei l’unica persona al mondo a cui queste cose non succederanno mai e poi, una ad una, cominciano a succederti tutte, esattamente come succedono a tutti gli altri.”                                               

E’ l’incipit del libro “Diario d’Inverno” di Paul Auster, forse uno degli scrittori che ho amato di più, che mi è ricapitato tra le mani in questi giorni di una strana estate, dove si alternano caldo torrido e temporali, quiete e tempesta, ottimismo e pessimismo. Il “Diario d’ Inverno” è relativo alla vita di una persona, ma può esistere la vita di una persona disgiunto da quello degli altri, del mondo, del paese in cui si vive? Esistono poi le persone senza gli altri? Il dramma è tutto lì nel vivere il proprio essere come unico, indispensabile e non capire che non esistono drammi individuali ma solo individui che vivono individualmente drammi collettivi, che spesso non ci riguardano personalmente ma prima o poi ci toccheranno. Non credo che esistano età felici, epoche migliori delle altre, ma credo fortemente nelle crisi di civiltà, nella fine di un paradigma, sia esso individuale o collettivo, di vita o di scienza come direbbe Khun, e la crisi di un paradigma è sempre “individualmente” dolorosa, siamo “carne e sangue”, diceva un vecchio filosofo dell’ottocento, e ogni crisi e cambio di paradigma ci riguarda tutti, due volte, individualmente e collettivamente. Prima la Pandemia, poi di nuovo la pandemia, un clima impazzito che colpisce quello che era considerato un paese perfetto nella sua organizzazione, violenza e guerre, una politica che farfuglia sconnesse e patologiche litanie narcisistiche celebrando i propri funerali, l’apparenza che si sostituisce alla cultura, la introduzione continua di regole che nessuno rispetta perché promulgate da autorità poco credibili e che, si sa, non hanno alcuna intenzione di farle rispettare. Non esiste più né la destra né la sinistra (naturalmente io non ci credo) anche nel calcio si gioca senza centravanti o tutt’al più col “falso nueve”. Sapremo cambiare? Non so se sapremo farlo, di sicuro so che potremmo farlo, cominciando a guardarci oltre l’ombelico, costruendo comunità, affermando socialità, che è cosa diversa da assembramento, ritornando alla politica, quella che è partecipazione e controllo, rifiutando il dominio delle merci che oggi si chiamano oggetti, ma sempre quello rimangono strumenti di profitto per pochi e di alienazione per molti, amandoci di più e amando di più i luoghi che temporaneamente ci ospitano.  

Ma dove voglio parare? E che ne so?  Io smonto l’orologio ma non è detto che lo sappia rimontare.  Comunque, Avanti Popolo.

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