GEORGES BRASSENS, A CENTO ANNI DALLA NASCITA E QUARANTA DALLA MORTE, TRA FEDE E NON FEDE

di Mimmo Mastrangelo

1921 – 1981 : a cento anni dalla nascita e quaranta dalla morte di Georges Brassens, il maestro in assoluto degli chansonnier. i nonni materni erano lucani (di marsico nuovo), si dichiarò non credente ma le sue canzoni  sono un autentico “magnificat laico” e la parola dio è la più citata nella sua discografia.

I contenuti  profondamente umani  dei  testi, hanno fatto sì che le sue canzoni trascendessero il tempo. Sarà anche per questo che a cento anni dalla nascita  e a quaranta dalla morte, Georges Brassens rimanga ancora della canzone popolare e d’autore francese “le supreme poète” le  cui ballate (da “Il gorilla” a “Le passanti”; da “La non domanda di matrimonio a “Il mandorlo”; da “Gli amici di sempre” a “Morire per le idee”…)  continuano ad essere  cantate e riadattate in molte lingue del  mondo. Di sangue italiano – per via della madre Elvira che alla fine dell’ottocento partì coi  genitori dal piccolo centro lucano di Marsico Nuovo  per trasferirsi a Sète (il secondo porto più importante di Francia, diede i natali anche al grande poeta Paul Valery) –  Georges Brassens fu il più letterato degli chansonnier d’oltralpe, infatti seppe dare alle sue canzoni la qualità dei grandi testi di letteratura, oltre un’etica come registro per uno sguardo inedito sulla realtà. Artista “engagé, una volta trasferitosi dalla sua piccola città della Linguadoca-Rossiglione  a Parigi andò manifestando da una parte l’allergia verso i poteri forti e dall’altra un pensiero anarchico e un assoluto desiderio di libertà. Da Gabriel Garcia Marquez fu riconosciuto nel più grande poeta francese del novecento, invece per i suoi connazionali rimane ad oggi  un monumento nazionale. Sbaragliando un certo accademismo, inventando una propria lingua, cantò l’amore, l’amicizia e mise in musica, tra gli altri,  dei testi di François Villon,  Victor Hugo, Louis Aragon che incensano la dignità degli scarti dell’umanità. Una delle peculiarità (o anomalie) in Brassens è che – per sua stessa dichiarazione- non fu un credente, eppure la parola Dio è quella più citata nella sua opera. Il Padre Eterno è chiamato in causa e senza essere denigrato in cinquanta brani. Brassens diceva: <<Parlo di Dio per farmi comprendere meglio dal pubblico>>,  ma poi  asseriva: <<Io credo in Dio, ma come io sono un mentitore, io dico di no, non  credo>>. Tuttavia, la  sua discografia è un autentico “Magnificat laico”, Brassens ha impregnato i suoi testi di cristianità, meglio di un credo la cui  radice  è, sicuramente, da ricercare nella fede  popolare della madre e dei nonni lucani, Michele Dagrosa e Maria Augusta Dolce. La vicinanza-distanza, il legame-distacco, di “ton-ton Georges” col Creatore ci fa  ricordare  la relazione non pacificata eppure così passionale che ebbe con Dio Victor Hugo. Brassens si dichiarava contro i dogma, ma, al contempo, ci teneva a   puntualizzare: <<Se la gente semplice basa tutta la propria esistenza su di essi allora è meglio mantenerli i dogma, altrimenti queste persone potrebbero improvvisamente trovarsi prive di punti di appoggio>>. Il “papà degli chansonnier” non ha creduto, né praticato la fede nel senso comune in cui viene inteso tale esercizio, ma poco importa. Piuttosto c’è da dire che ha fatto scandire la provocazione del Padre, della Croce di Cristo per la sola ragione di essersi dichiarato attraverso le sue canzoni  dalla parte di chi implora giustizia ed amore. Nel suo diario rimasto nascosto fino alla morte, Brassens scriveva: <<Il mio poeta preferito  è il Cristo. Se c’è nelle mie canzoni, nei miei versi qualcosa di mistico è perché mi sono nutrito  di questo famoso poeta palestinese>> . Brassens, dunque, un non credente, ma con Dio nella testa e l’umanità perdente della terra nel cuore. Per questo, il buon Padre,  l’avrà accolto di certo  in Paradiso, a prescindere se in vita si sia apertamente dichiarato fedele o meno della buona novella delle Scritture.

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