Pochi erano i regali sul finire degli anni Sessanta e spesso insulsi, cioè simbolici. Per un bambino. Ma quando i miei, commercianti, nell’estate del 1968, ritornando da Napoli, dove erano andati per comprare un po’ di merce per il negozio, tirarono fuori dagli scatoloni di merce il Mangiadischi Pac Son The Sound Md 1002, grigio, divenni il bambino più felice di Spinoso.
Non sapevo nulla del Maggio francese, di Valle Giulia, delle proteste contro la guerra in Vietnam, delle canzoni arrabbiate dei cantautori americani e nostrani, ma amavo la musica leggera.
In casa avevamo una radio a valvole da cui uscivano, quando funzionava, solo fruscii o musica da camera. Nello scatolone Philips 28 pollici, a parte il varietà del sabato sera e Sanremo, davano pochissimo. In paese, neanche un juke box.
Finalmente potevo ascoltare un po’ di musica da un guscio di plastica dall’enorme bocca. Quel mangianastri era leggero. Poteva stare orizzontale o verticale. Soprattutto era portatile. E poteva seguirmi, con il suo maniglione, per i vicoli radiali e tangenti del mio vicinato in via Pimentel. Un ballatoio, uno scalone, una gradinata, non c’era palcoscenico che non fosse adatto per pavoneggiarmi con il mio inseparabile e tecnologico amico, inventato nella sagoma di “mangiadischi”, nel 1966 da Mario Bellini per la Irradio (si chiamava Irradiette), dopo che era stato prodotto alla fine degli anni Cinquanta negli Stati Uniti.
Il mangiadischi andava a sostituire la fonovaligia, un giradischi portatile inglobato dentro una valigetta 48 ore. Più raffinato, ma ingombrante e costoso.
A dire il vero possedevo solo un vinile. Un 45 giri che papà aveva deciso di acquistare insieme al mangiadischi: Luglio di Riccardo del Turco (testo di Giancarlo Bigazzi). Un brano che aveva vinto il “Disco per l’Estate” nel giugno di quell’anno a Saint Vincent, sbaragliando la concorrenza dei più accreditati: Jimmy Fontana (vincitore l’anno prima), Iva Zanicchi, Gigliola Cinquetti, Orietta Berti, Caterina Caselli.
Nel mese di luglio, nomina sunt consequentia rerum, Luglio raggiunse il vertice della Hit Parade, e ci rimase per tre mesi, fino a ottobre, collocandosi al dodicesimo posto dei dischi più venduti dell’anno con un milione e centomila copie vendute. Un tormentone estivo per tutti, in modo particolare per me (non avevo scelta).
Era l’anno di Azzurro (Adriano Celentano), di La Bambola (Patty Pravo), di La Nostra favola (Jimmy Fontana), di Applausi e L’Ora dell’amore (I Camaleonti), di Ho scritto t’amo sulla sabbia (Franco IV e Franco I).
Ricordo che le prime volte mi incantava sia l’automatismo che ingurgitava con un ruttino il disco, sia il tasto “Reject”, che lo sputava.
Sì, c’era anche il lato B, ma come si fa a incidere “Temporale”, tristissima storia di rimpianti, bagnatissima di lacrime sul retro della mia canzone preferita? Non c’era storia tra “Luglio” e “Il temporale”. Tra il sole dell’allegria, e il ripiegamento pascoliano di una natura incazzata con gli umani. Ricordo di aver ascoltato solo qualche nota, poi solo lato A. Per mesi e mesi.
Aveva un piccolo difetto il mio mangiadischi, andava solo a batterie (al contrario del successivo Penny della Musicalsound), ben otto torcioni giganti, da 1,5 volt. Ovviamente della Superpila, quelle verdi e marroni. Mio padre le vendeva nel suo negozio per cui… non era un problema.
La passione per Luglio finì quando arrivò in dono un altro 45 giri, Quando calienda il sol, alla befana del 1969,cantata da un trio pseudomessicano, Los Marcelos Ferial. La canzone era vecchia, del 1962. Ma era un dettaglio inutile. Per me quel disco era nuovo e soprattutto aveva una tensione erotica che mancava in Luglio, con quel “Siento tu cuerpo vibrar cerca de mi”.
E ho detto tutto. Buon anno.