La generazione “Calimero”, “Angelino” e un paio di pantaloni bianchi Copia

Didascalia n°27

Generazione X, Y, Z … Sarei un boomer, ma borderline, essendo nato nel 1962. Ma io preferisco di gran lunga dire di appartenere alla “Generazione Calimero”, essendo figlio del «Carosello» anni Sessanta. Quel leggendario programma, inventato da Luciano Emmer, che sul Programma Nazionale avrebbe incollato per dieci minuti, dalle 20.50 alle 21.00, tutte le famiglie italiane. Tutti giorni dell’anno, tranne il Venerdì Santo e il Due novembre. Dal 3 febbraio del 1957 al 2 dicembre del 1973. Per ben 7.261 puntate. Ogni sera, cinque réclame. Come si diceva allora.

“Ava come lava”, urlava con voce stridula il pulcino nero (voce di Ignazio Colnaghi), con il mezzo guscio lesionato a mo’ di cappello, dopo essersi ripulito dalla fuliggine che lo ricopriva. Era il brutto anatroccolo di Hans Christian Andersen in salsa italica. Sbarcò a «Carosello», nel luglio del 1963, grazie alla Mira Lanza, storica azienda genovese nata nel 1924, dalla fusione della Mira, leader nel settore delle candele, e della Lanza che produceva saponi e detersivi. E ci deliziò fino al 1974 con le sue avventure da due minuti e mezzo. La pubblicità aziendale negli sketch era relegata a un’appendice di pochi secondi, di cui non ci fregava assolutamente nulla.

Eravamo “Generazione Calimero”, perché si usciva lindi da casa e si rientrava irriconoscibili. I nostri giochi di strada erano fisicamente impegnativi, prevedevano corse campestri su sterrato, arrampicamento su alberi per sbirciare le uova nei nidi, attività cantieristica con modellini di camion betoniere dumper tra cumuli di sabbia, sfide belliche (altro che palii, erano paliatoni) tra le contrade del paese (M’ber a Terra contro n’capa a Terra), salto dei canali con acqua o senza, fiondate e frecciate, discese in carrozze di vecchi tavelloni con cuscinetti a fera, e partite infinite di calcio su campetti polverosi.

Si rientrava al calar del sole, stanchi e tumefatti, strisciando come ombre lungo i muri, per quanto si era sporchi (ricordate Macchia Nera in Topolinia? Uguale!). Ma acquainbocca sempre. Gli abiti feriali erano quasi panni da lavoro. Ma una domenica… una domenica mia madre ebbe la geniale idea di farmi indossare dei pantaloni bianchi, stirati magistralmente con due perfette righe verticali, modello spaccarotule.

Non eravamo ancora ragazzi da muretto, per cui ci vedevamo a ridosso dello scheletro del nuovo edificio scolastico in costruzione. Era piovuto nei giorni precedenti e, pur se la giornata era soleggiata, il cantiere era punteggiato di melmose chiazze iridescenti.

Speravo fessamente in una tregua di Dio, essendo domenica, il giorno del Signore. Ma quando incrociai lo sguardo di Tonino, il mio migliore amico, non alzai la testa per vedere l’enorme sasso che aveva sollevato, lo sapevo, era scontato. Osservai solo l’ampiezza del guazzo che ci divideva. Provai ad esclamare un “no”, ma lo splash mi ricoprì integralmente. Ritornai molto Calimero a casa (e come Calimero forse di primo acchito, non fui riconosciuto), incazzato nero con mia madre, più che con Tonino, che “doveva” farlo, perché quei pantaloni bianchi erano una tentazione troppo forte per chiunque. “È un ingiustizia però”, devo aver sussurrato come ripeteva il pulcino ad ogni episodio. Da allora, mai più pantaloni bianchi. E ogni volta che rivedevo Calimero, durante Carosello, risentivo lo sghignazzo dell’amico, il rumore del sasso e il fradiciume nei vestiti.

Non sapevo allora che Calimero era un’invenzione dei fratelli Pagot (Toni e Nino), i due pionieri dell’animazione italiana (il loro Studio era del 1938), inventori di straordinari personaggi (Jo Condor, Grisù il maghetto, Braccobaldo, per «Hanna e Barbera» ecc.) che avrei ritrovato in una serie di ricerche sulla comunicazione aziendale degli anni Cinquanta. Tra cui uno splendido cortometraggio di animazione a colori del 1951 realizzato per la «Pirelli», per promuovere il cinturato «Stelvio», con cui vinsero il primo premio per la pubblicità cinematografica al secondo “Congresso nazionale della pubblicità”.

Ma il Calimero dei fratelli Pagot aveva un antesignano nella storia della animazione italiana.

Se fossi nato agli inizi degli anni Cinquanta, infatti sarei appartenuto, secondo la mia personalissima nomenclatura, alla “Generazione Angelino”, quella del primo artigianale Carosello con siparietti che si aprivano mostrando ballerine, giocolieri e musicanti. Avrei ascoltato il rudimentale arrangiamento della sigla trionfale (Pagliaccio), tratta dal repertorio ottocentesco napoletano. Avrei capito prima che la parola Carosello, evocava una giostra con quella sarabanda festosa di attori, personaggi, storie e prodotti!

E l’antesignano di Calimero era proprio Angelino, che comparve nel 1958 per poi scomparire (forse perché soppiantato dal neonato Calimero) nel 1965. Tante le analogie tra i due.

Anche Angelino era un cartone animato. Anche Angelino pubblicizzava un detersivo. Anche Angelino si sporcava. Anche Angelino si lavava.

Ma Angelino non era stato disegnato dai fratelli Pagot. Il suo autore era il modenese Paul Campani, fumettista, scenografo e regista. Autore, fra le altre cose, dell’omino coi baffi (1952)delle leggendarie caffettiere Bialetti, che campeggia ancora oggi sui prodotti realizzati dalla azienda di Omegna.

Le sue avventure/disavventure/imprese ebbero un successo clamoroso.

Un piccolo angelo, muto, dai grandi occhioni neri, che vive sulle nuvole scruta la vita degli umani sulla terra [Wim Wenders si è ovviamente ispirato a lui, ma non lo ha mai confessato, per Il cielo sopra Berlino], e incuriosito parte per cimentarsi come imbianchino, pompiere, falegname, canoista ecc. combinando sempre disastri [termine ad hoc per descrivere un angelo che si allontana dagli astri e quindi… fa dis-astri], inzaccherandosi sempre in una pozzanghera. E piangendo disperatamente. Ma una voce fuori campo lo consola. Per fortuna c’è il detersivo Super Trim, che restituisce al lenzuolino che lo veste il candore originario. Per colonna sonora, la superba Marcia turca di Mozart.

Ripensando ai miei pantaloni bianchi e all’amico dell’infanzia, anche se fossimo nati dieci anni prima, anche se ci fossimo incantati guardando Carosello e le imprese di Angelino, nel bar di Arturo in piazza, a Spinoso, non sarebbe cambiata di molto la sostanza dei nostri giochi furenti e selvaggi: corse campestri su sterrato, arrampicamento su alberi per sbirciare le uova nei nidi, attività cantieristica con modellini di camion betoniere dumper tra cumuli di sabbia, sfide belliche (altro che palii, erano paliatoni) tra le contrade del paese (M’ber a Terra contro n’capa a Terra), salto dei canali con acqua o senza, fiondate e frecciate, discese in carrozze di vecchi tavelloni con cuscinetti a fera, e partite infinite di calcio su campetti polverosi.

O “Generazione Angelino”, essendo figlio del «Carosello» anni Cinquanta. O “Generazione Calimero”, essendo figlio del «Carosello» anni Sessanta. Saremmo sempre ritornati a casa tumefatti e lerci, sia nei giorni feriali che nei festivi. Al calar del sole. Con i pantaloni neri (anche se bianchi) e strappati. Le stesse urla delle nostre madri.

L’unica differenza l’avrebbe fatta il detersivo. Negli anni Cinquanta, “Super Trim”, negli anni Sessanta, “Ava”. Per il resto, nulla di nuovo sul fronte appenninico e meridionale di quegli anni.

Altro che “Generazione boomer”.

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