Le voci del bosco

Il bosco era un colonnato di alberi. Ritti come tante colonne da stilita. La luce penetrava come una timida insinuazione. Il vento sussurrava tra i rami e le foglie. Quegli alberi, sapienti, piantati nel suolo come sentinelle, mormoravano storie a chi sapeva ascoltarli.

Sara aveva il dono. Leggeva il suono del linguaggio segreto degli alberi. Fin da bambina, ai piedi di quelle torri di legno e linfa, si faceva cullare dai loro racconti.

Era così venuta a conoscenza di vicende presenti e passate. Il piccolo Giorgio che si era perso nel folto del bosco. Con le ginocchia sbucciate e il fiato corto per la corsa e la paura. Il ritrovamento, il pianto caldo del sollievo sui volti dei genitori. Carla, meno fortunata, trovata morta, riversa in un fosso umido. I baci rubati dagli amanti, tra l’odore di terra umida nelle sere di ottobre. I vestiti come foglie cadute. Le vite spente nell’oceano di ombra verde, quando l’assassino aveva calato la mano sulla vittima. Visto solo dagli uccelli gementi tra i rami e dalla calma del sole morente dietro l’orizzonte.

Sara adesso era cresciuta e quando lasciava il paese, chiuso nell’abbraccio dei boschi, si sentiva incompiuta. Aveva bisogno di ritornare in quei luoghi. Per rimettersi in sesto. Per farsi raccontare ancora le storie che la cullavano da bambina. Era il suo luogo speciale e lo sarebbe stato per sempre.

C’erano poi occasioni particolari, come quella di adesso. Un amore finito. Giovanni perso, ingoiato dalla città. Il vento scivolò tra le foglie e lei si mise all’ascolto. C’era qualcosa di diverso dal solito. Gli alberi sembravano schiamazzare. Un vociare confuso e agitato, così lontano dalla loro calma da monoliti placidi.

Avvertiva in loro qualcosa di simile alla paura. Alcune voci la chiamavano. Chiedevano il suo aiuto. Sara alzò la testa, come ad annusare l’aria. Seguì l’origine di quella richiesta di soccorso. Man mano che si avvicinava alla zona da cui proveniva quella tormentata agonia vegetale, il volume aumentava, le richieste erano delle grida. Acute. Disperate.

Arrivata sulla sommità di una piccola altura, dove la vegetazione diventava più fitta, vide ciò che aveva scatenato il lamento degli alberi. Un uomo, basso e tarchiato, armeggiava alla base di un vecchio faggio. Aveva accumulato dei rami secchi e carta di giornale. Aveva con sé una borsa da viaggio, logora. Indossava una vecchia giacca marrone. Pochi radi capelli sul capo e un paio di occhiali che continuavano a scivolargli sul naso e che lui provvedeva a riposizionare con il palmo della mano. Dopo la sorpresa iniziale, Sara capì cosa stava accadendo. Un piromane stava per appiccare un incendio. Era già successo in passato. Una cicatrice di devastazione aveva segnato una notevole porzione del bosco. All’epoca era poco più di una bambina. Quando era andata sul posto, giorni dopo, aveva visto gli scheletri carbonizzati degli alberi, come artigli contratti. La cenere e la desolazione intorno. Aveva pianto.

Questa volta non sarebbe successo. Scese di corsa, quasi ruzzolando a valle. Con un coraggio che non sospettava di possedere.

<<Che diavolo stai facendo?>>

L’uomo si girò, inciampò nella borsa, perse l’equilibrio e finì per terrà. Si alzò tremante. Balbettava frasi sconnesse. Si guardò intorno. Si rese conto che non c’era nessun altro.

 <<Zitta!>>

disse digrignando i denti.

Sara iniziò a gridare a pieni polmoni:

<<Aiuto! Stanno per incendiare il bosco!>>

L’uomo con uno scatto sgraziato le fu addosso. La colpì al volto con un pugno. Sara si ritrovò per terra. Lui si sporse su di lei. Si teneva la mano dolorante.

<<Devi stare zitta!>>, le urlò contro. Sentì il suo alito acido sul viso. Le prese la testa e la sbatté  con violenza al suolo. Tutto prese a vorticare intorno. Cercò di alzarsi, in uno slancio di disperazione. Il tentativo non portò a nulla. Poi accadde qualcosa. Delle grandi mani, con dita di carota, afferrarono l’uomo per il collo e lo buttarono all’aria, come un fuscello. Si udì un rumore secco. Ghiaccio che si rompe. L’uomo finì al suolo e restò immobile. Una figura dalle vaghe fattezze umane era a pochi passi da lei. Sembrava uscito da un quadro di Arcimboldo. Chioma di uva fresca. Guance di pesca lucida, coperte da una lieve peluria gialla. Due olive nere per occhi, spuntavano dal centro di valve di Dionea. Una barba striata di foglie di lattuga, radicchio e rucola. Le sorrise con denti di mandorla e Sara lo riconobbe.

Il dio Pan scomparve nel folto del bosco, all’improvviso come era apparso.

Condividi